“… Da un capo all’altro del pianeta,
corre un treno che mai si fermerà…
È lo Snowpiercer dai mille e uno vagoni.”
Inizia così la prima storia di Snowpiercer, il fumetto post apocalittico ambientato fra le nevi eterne di una glaciazione globale, dove gli ultimi rappresentanti dell’umanità sopravvivono a bordo di un lunghissimo treno in perenne movimento. La fine del mondo per come lo conosciamo è avvenuta a causa di esperimenti climatici sbagliati: tutto è ghiaccio e il freddo esterno così intenso da provocare la cosiddetta Morte Bianca dopo un’esposizione di pochi istanti. I fortunati (o sfortunati, dipende dai punti di vista) sopravvissuti sono coloro che hanno avuto la possibilità di salire sul quella magica e ipertecnologica macchina costruita per essere immortale.
Tuttavia il macrocosmo poliedrico e violento della vita del Prima si è trasferito in un microcosmo altrettanto – se non di più – rigido e chiuso, dove il termine “umanità” sembra perdere il suo significato, limitandosi a una mera lotta di sopravvivenza. Gerarchie, divisioni , dittature, imperversano fra vagone e vagone, decise e regolate ab origine dalla classe del biglietto ottenuto alla partenza. Come in tutte le società distopiche, abbiamo la Casta che governa, tiene stretti i propri privilegi e occupa le carrozze di prima classe in testa al treno, vicino alla Locomotiva; poi, via via, si arriva alla coda con i carri-bestiame senza finestrini, dove sono rifugiati i reietti dei reietti.
Le Transperceneige (titolo originale, del 1984) è la prima di tre graphic novel , scritta da Jacques Lob e illustrata da Jean Marc Rochette. A questa seguiranno LeTransperceneige 2 – L’arpenteur (1999) e Le Transperceneige 3 – La traversée (2000), testi di Benjamin Legrand (Lob viene a mancare nel 2000).
Editoriale Cosmo ha pubblicato nel 2014 in un unico volumetto tutte e tre le storie: Snowpiercer – La Morte Bianca, Snowpiercer – Il Geoesploratore e Snowpiercer – La Terra Promessa. L’ambientazione iniziale e i riferimenti vengono mantenuti anche se il tratto di Rochette, da lineare ed essenziale, diventa più sfumato e pastoso. Le vicende successive sono collegate alla prima, anche se con altri protagonisti: la lotta per la sopravvivenza dentro e fuori dal treno non è certo finita e si scopre che lo Snowpiercer non è figlio unico, esiste anche un gemello che si contende la rotaia e di chiama Wintercrack…
“… E mentre sulla sua scia divampano violenza e malattia,
Santa Loco continua imperterrita la sua corsa verso il nulla”.
Snowpiercer è la locomotiva eterna, capace di generare un culto religioso-meccanico: se in Un cantico per Leibowitz la nuova deità è uno scienziato atomico morto e la preghiera quotidiana recita “Dal luogo del Ground Zero liberaci, o Signore, dalla caduta del Cesio liberaci, o Signore, dalla maledizione del Fall-Out liberaci, o Signore“, dentro il Treno che corre fra i ghiacci abbiamo invocazioni a “Santa Loco, che il tuo movimento dispensatore di energia non rallenti mai, che ci porti oggi e domani il nostro pane quotidiano…Fonte di vita, corri per noi.” Nuovi assetti portano inevitabilmente a nuovi dèì. E a nuovi martiri.
Nel 2014 il regista coreano Bong Joon-ho, incantato dal primo fumetto della trilogia – il più strutturato come trama e finale – realizza il film Snowpiercer.
La pellicola è un’opera visionaria, ricca di simbologie, dove l’ambientazione postapocalittica è la stessa del fumetto, ma offre più una riflessione amara sulla capacità socale dell’umanità che sul rischio di catastrofi climatiche. L’aspetto psicologico è il punto in cui il film diverge rispetto alla graphic novel, molto più nichilista: il personaggio della bande desinée – Proloff – intraprende una fuga solitaria per fini personali, non gli importa dei compagni lasciati indietro e quasi nemmeno della sua donna. Nel film, invece, il protagonista si chiama Curtis (Chris Evans), è una figura sofferta e carismatica (le due cose non si escludono a vicenda) che rappresenta – suo malgrado – la speranza concreta di una rivolta, divenendone il leader.
“… Nel gelo e nella desolazione il treno corre senza destinazione.
La terra promessa non esiste più”.
Raccontare una storia in un sistema chiuso trova nello schema-treno un’ambientazione ideale: la forzata staticità “dentro” è contrapposta al moto perpetuo nel “fuori”, la quest del protagonista viene scandita dal succedersi dei vagoni e le prove da superare sono le porte da varcare: quali mostruosità (nel senso anche di meraviglia) possono svelare? L’atmosfera del fumetto è quella di una triste fiaba invernale, in cui il bianco e nero usato per i disegni aumenta il senso di gelo. L’esterno è una coltre abbagliante di neve, gli interni sono scuri e affollati, il tono bicolore si alleggerisce appena nel descrivere le situazioni più vivibili. E comunque, i tratti scolpiti con l’accetta dei personaggi che incontriamo riflettono alla perfezione quanta umanità, intesa nella sua accezione positiva, sia rimasta su quel treno. Il film ha toni più sanguigni, contrappone le atmosfere livide dei vagoni di coda al paradiso inquietante nelle multicolori carrozze di lusso. I combattimenti isolati nei quali Proloff viene coinvolto nel fumetto sono trasformati in sequenze di violenza primordiale, tra flash di luce e buio, con il realismo intenso di quella che può essere una vera lotta a colpi di martello.
I rimandi ad altre opere, cinematografia e romanzi, sono molteplici, sia per il fumetto che per il film: l’immaginario collettivo racconta una futura apocalisse – treno più mondo ghiacciato più morte dell’umanità – e, come in altri input creativi, sviluppa inevitabilmente degli archetipi che costantemente riaffiorano. I riferimenti ad altre opere sono diversi, per esempio The Day After Tomorrow di Roland Emmerich (2004), ma soprattutto da Quintet (1979) di Robert Altman – nella cui scena iniziale vediamo un treno semisepolto nella neve – in cui la speranza è ridotta a una fiammella quasi spenta e la voglia di vivere a un macabro corteggiamento della morte.
La pazza corsa del treno ricorda più Blaine il Mono di Stephen King che un gioiello di ingegneria meccanica, alcune scene (i proclami della ministra Tilda Swinton e la parte nella “scuola”) occhieggiano alla satira bizzarra dei Monty Python, viene accentuato il tema Ghost in the Machine, con la Locomotiva divenuta una sorta di Moloch mangia- bambini. E quando nel film vediamo le poco invitanti “barrette proteiche” nerastre, come non pensare alle inquietanti distribuzioni alimentari di Soylent Green?
È interessante anche il paragone con un romanzo uscito da poco in Italia: Wool di Huge Howey, non per le condizioni climatiche ma per l’assetto di base: in Snowpiercer il sistema chiuso è orizzontale (il treno), in Wool è verticale (il silos), ma sono presenti spunti molto simili, sia tecnici (il controllo delle nascite, l’autosufficienza delle risorse) che concettuali (la “scalata”verso la verità).
In sostanza, il confronto fra fumetto e film mostra affinità e differenze: nell’opera degli artisti francesi abbiamo due treni, diverse tecnologie con navicelle volanti e, almeno nella prima storia, l’assenza di un leader capace di convogliare un’illusione collettiva. Nel film del regista coreano ci sono una Locomotiva, un Eroe e una Possibilità. Tornando a Quintet , l’ultima sequenza ci mostra un sopravvissuto in viaggio verso un eventuale futuro, dietro il volo di un uccello solitario. E lo Snowpiercer film si conclude più o meno allo stesso modo, pieno di interrogativi ma con un tenue filo di speranza.
L’articolo è uscito nella sua prima versione su questo link