Aprile/Dicembre 1986: Chernobyl e dintorni
Il centro abitato più vicino alla centrale, in realtà, non è Chernobyl bensì la cittadina di Pripyat, una cosiddetta atomgrad, edificata contemporaneamente all’impianto nucleare come residenza per i dipendenti e le rispettive famiglie.
Pripyat rimase all’oscuro dei dettagli fino al 27 aprile (domenica). Dal racconto di una testimone: “Sabato mattina (il 26 aprile) in città tutto era coperto di liquido bianco e schiuma.
Non avevo mai visto tanti poliziotti in giro. Non facevano niente, stavano fermi qua e là, come se ci fosse la legge marziale. Era scioccante, ma la gente camminava in giro normalmente. Tornai a casa e dissi a mia madre: «Non so cosa sia successo, ma non fare uscire i bambini.» Andai fuori di nuovo e vidi il reattore che bruciava.”
In molti rimasero a guardare la nuvola cremisi sopra la centrale, tipica della grafite che brucia: furono letteralmente bombardati dalle radiazioni.
La prima indagine è iniziata dal professor Valery Legasov, primo vice direttore dell’istituto Kurchatov per l’energia atomica. Il team comprende anche Evegeny Velikhov, noto chimico fisico nucleare, Yuri Izrael, idro-meteorologo, e Leonid Ilyin, capo radiologo. Raggiungono l’impianto la sera stessa del 26 aprile e in poche ore hanno la prova innegabile che il reattore è completamente distrutto, che le persone sono state esposte a livelli estremamente elevati di radiazioni nelle zone limitrofe e oltre. Qui la prima ripresa aerea del reattore che brucia.
Domenica 27 aprile viene ordinato, in circa tre ore, il trasferimento di tutti i civili:
“Attenzione, attenzione! Cari compagni! Il Consiglio Comunale riferisce circa l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl che è il livello radioattivo è sfavorevole nella città di Pripyat. Gli organi di partito e di governo e le unità militari hanno preso le misure necessarie. Tuttavia, al fine di garantire la piena sicurezza delle persone e, soprattutto dei bambini, c’è la necessità di una evacuazione temporanea dei residenti nelle vicine comunità della regione di Kiev. Quindi ogni condominio oggi, il ventisette del mese di aprile, a cominciare dalle 14.00, avrà degli autobus e sarà accompagnato da ufficiali della milizia e rappresentanti del comitato esecutivo.
Si raccomanda di portare i documenti, le cose necessarie, il cibo. […] Tutte le case durante l’evacuazione saranno protetti dagli agenti di polizia. Compagni, lasciando temporaneamente le vostre case, non dimenticate, per favore, di chiudere le finestre, spegnere gli apparecchi elettrici e a gas, chiudere i rubinetti. Si prega di mantenere la calma, il programma stabilito e l’ordine durante l’evacuazione temporanea”.
La popolazione di Pripyat – 50.000 persone – era rimasta esposta per 36 ore, e i ricoveri per sintomi da contaminazione risultavano già numerosi. L’area attorno al V.I. Lenin (per un raggio di 30 km) venne dichiarata off limits e completamente evacuata, ma non prima di due decessi e oltre 50 ricoveri n ospedale fra la popolazione. Dopo tanto tempo, sono disponibili in rete vari filmati su queste frenetiche ore. Particolarmente significativo è questo. Alcune parti sono state utilizzate per il film Raspad (Decadimento) del 1990.
Contemporaneamente iniziano le operazioni di bonifica nella centrale e nell’area contaminata che durano fino all’inizio del dicembre 1986: per rimuovere i frammenti di grafite e di altri materiali solidi radioattivi vengono utilizzati inizialmente dei macchinari automatizzati, ma i loro transistor non sono compatibili con i livelli di radioattività presenti, quindi sono sostituiti da personale umano volontario, i cosiddetti “bio – robot”. Sono tecnici e soldati che corrono attraverso gallerie improvvisate scandendo le letture dei contatori Geiger e dei timer, per ripristinare i collegamenti e le tubature. Sono minatori e ingegneri che lavorano in cunicoli sotterranei, inondati da acque che hanno un minaccioso bagliore bluastro. Infatti in un primo momento, per spegnere gli incendi, il cratere dell’esplosione è inondato con acqua e azoto liquido. Si pensa così anche di sigillarlo, ma la situazione peggiora: l’acqua viene vaporizzata istantaneamente nel toccare il nucleo fuso (oltre 2000 ° C) e sparata nella stratosfera in grandi nubi di vapore; una marea d’ acqua inonda le piscine di sicurezza sotto il reattore, che però sta fondendo. Se il combustibile fuso avesse raggiunto l’acqua delle piscine, avrebbe provocato altre esplosioni di entità incalcolabile, con centinaia di tonnellate di chernobylite (chiamata in seguito Corium) nell’atmosfera, moltiplicando il fallout. Inoltre, la miscela radioattiva di acqua e chernobylite si sarebbe infiltrata nel terreno contaminando le acque sotterranee e mettendo in serio pericolo anche la città di Kiev nelle vicinanze, con due milioni e mezzo di abitanti. Una sorta di sindrome cinese .
Il tempo di permanenza consentito all’interno della centrale è estremamente breve, circa 40/60 secondi, poiché le emissioni radioattive sono 15 mila volte superiori a quelle di una normale esposizione annuale: una permanenza di 20 minuti significherebbe morte per l’operatore e contaminazione per coloro che gli si fossero successivamente avvicinati.
Alcuni di questi volti sono stati ripresi dall’ultimo video del cineoperatore Vladimir Shevchenko, che morirà un anno dopo per sindrome da radiazione.
Nel frattempo, su Pripyat, Chernobyl e le altre cittadine nei dintorni cominciano a depositarsi le particelle radioattive provenienti dalla centrale, mentre quelle più leggere restano sospese in aria sottoforma di aerosol. Altre vengono sospinte ancora più lontano. Per contenere al massimo la contaminazione, strade ed edifici sono lavati con sostanze chimiche speciali. Ogni oggetto trasportabile è seppellito, compresi auto, camion, trattori; vengono rimossi strati di terreno, abbattuti e sepolti gli alberi maggiormente colpiti dalle radiazioni. Il territorio direttamente interessato dal disastro prende il nome di “Zona di Alienazione”.
La centrale nucleare non interrompe la sua attività. Nel 1991 si verifica un secondo incidente – per fortuna meno grave – al reattore 2, dopo il quale le nazioni occidentali iniziano a fare pressioni affinché l’Ucraina spenga definitivamente l’impianto; questo è poi avvenuto in due fasi, nel 1996 con il reattore 1 e nel 2000 con il reattore 3.
La centrale nel 2006
Il sarcofago del reattore 4, edificato nel momento di massima emergenza tra il maggio e il novembre del 1986, non è nato come struttura di contenimento permanente: ciò è stato presto confermato dal suo veloce deterioramento, causato da una progettazione frettolosa e dall’impiego di materiali scadenti (una fila di camion come basamento delle pareti in cemento, macerie radioattive dello stesso reattore utilizzate come struttura portante, i muri non completamente collassati inglobati in materiali vari utilizzati a scopo di rafforzamento).
Col tempo, nella costruzione si sono aperte miriadi di falle, alcune delle quali larghe fino a 15 metri, attraverso cui ogni anno si riversano all’interno circa 2.200 metri cubi di acqua piovana.
L’aumento di peso sulle fondamenta ha fatto sprofondare il basamento di circa quattro metri, con la conseguente infiltrazione di materiale radioattivo nelle falde acquifere collegate ai fiumi Pripyat e Dnepr, la cui foce è nel Mar Nero. Inoltre, la temperatura all’interno del nocciolo risultava, nel primo decennio del 2000, molto elevata (fino a 1000 gradi celsius in alcuni punti), accelerando il deterioramento di quanto edificato. Per questo motivo sono state effettuate delle opere di riparazione e ristrutturazione, completate nell’agosto 2008: la società di costruzione nucleare russa Atomstroyexport, incaricata dei lavori, ha riparato il tetto e installato una pompa per prosciugare l’acqua. Questa stabilizzazione è stata il preludio alla costruzione del nuovo sarcofago che dovrebbe mettere in sicurezza la centrale per almeno cento anni. Erano inoltre in progetto zone attrezzate per lo smantellamento definitivo dei rottami del reattore e uno stoccaggio maggiormente risolutivo del combustibile esaurito altamente radioattivo. Il costo del progetto fu stimato in 1,2 miliardi di dollari. In sostanza, l’arresto del reattore fu solo un primo passo verso la risoluzione del “problema Chernobyl”.
“Nella centrale sono attualmente al lavoro squadre di tecnici e operai impegnate in attività complesse e non prive di rischi, che richiederanno ancora diversi anni per essere completate. È in previsione lo smantellamento completo dei blocchi 1, 2 e 3 appena il sito sarà radiologicamente sicuro”. Questo è quanto scrivevo nel 2006, all’inizio della mia ricerca su Chernobyl: vedremo più avanti come sono andate le cose nei successivi undici anni.
[…continua]