Fallout e Sindrome Acuta da Radiazioni
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La ricaduta radioattiva di un’esplosione nucleare (fall-out) è l’insieme dei materiali coinvolti nella deflagrazione resi radioattivi (la radiazione rilasciata dall’esplosione trasmuta lo stato atomico della materia) e lanciati in aria fino a 10 km circa di quota, che successivamente ricadono come ceneri e pulviscolo. Il fall-out avviene in due fasi: fall-out primario delle polveri più pesanti, dopo pochi minuti, nell’area dell’esplosione, e fall-out secondario del materiale più sottile, dopo una o due ore. L’area interessata dal secondo è più vasta in quanto il corpuscolato radioattivo viene trasportato dai venti in quota formando una “coda” e continua a ricadere per un arco di tempo che può andare dalle sei alle trenta ore. I primi materiali a ricadere sono i più radioattivi: la pericolosità è massima all’inizio del fallout e decresce nel tempo proporzionalmente al tempo di decadenza degli isotopi radioattivi. Dopo circa 48 ore il livello di radioattività si stabilizza [vedi anche qui].
La stima delle sostanze radioattive disperse nell’ambiente dopo l’esplosione del quarto reattore della centrale di Chernobyl è di oltre la metà dello iodio e del cesio presenti nel nocciolo, più altri radionuclidi e gas radioattivi pari a una attività di 11 EBq, ovvero un miliardo di miliardi di Bequerel. Il fall-out ha interessato il 5% dell’Ucraina, solo marginalmente la Russia (lo 0,6%), mentre si è riversato principalmente in Bielorussia contaminando circa il 23% del territorio. In oltre 46.000 chilometri quadrati si registrarono valori di oltre 37 kBq/mq per la presenza di Cesio137: un’area questa che comprende 27 città in cui vivevano oltre due milioni di persone, in pratica più di un quinto dell’intera popolazione.
NB: L’esposizione alle radiazioni ionizzanti è misurata come dose assorbita in Gray (Gy). La dose efficace misurata in sievert (Sv) tiene conto della quantità di radiazione ionizzante assorbita, del tipo di radiazione e della suscettibilità di vari organi e tessuti ai danni da radiazioni. Per la maggior parte delle esposizioni dall’incidente di Chernobyl, le dosi assorbite sono simili alle dosi efficaci (cioè 1 Gy è approssimativamente uguale a 1 Sv).
La sindrome acuta da radiazioni (SAR) è la conseguenza dell’esposizione a un’elevata dose di radiazioni (maggiore di 1 Gy) su tutto il corpo in un breve lasso di tempo (qualche settimana al massimo), la sua gravità dipende dalla dose assorbita, dal materiale irraggiante e dai tessuti irraggiati. Si manifesta nel tempo con una sintomatologia caratteristica in quattro fasi: ematologica, gastroenterica, neuro- ( o cerebro-) vascolare, multiorgano.
A seconda della dose assorbita, i sintomi compaiono entro ore o settimane, seguendo un ciclo clinico prevedibile. Con un irraggiamento superiore a 3.500 Gy osserviamo le seguenti fasi:
Fase prodromica: compaiono malessere, eritemi, nausea, cefalea, disturbi intestinali. Questa fase si verifica entro le prime 48 ore ma può svilupparsi fino a 6 giorni dopo l’esposizione.
Fase latente: i sintomi vanno a scomparire. Questa fase è un breve periodo transitorio – da una settimana a un mese – in cui la persona sembra guarita ma gli effetti dell’irradiazione stanno in realtà continuando, con la distruzione delle cellule riproduttive e del sangue.
Fase acuta: la malattia si manifesta, è caratterizzata da un’intensa immunosoppressione, compaiono ulcerazioni, emorragie gastro-intestinali, disturbi respiratori e cerebro-vascolari. I sintomi possono durare per settimane, o anche solo per poche ore in caso di esposizione sovraletale, e la morte sopravviene nella quarta/sesta settimana. Se la crisi viene superata, permane una elevata possibilità d’insorgenza di tumori e leucemie, nonché di mutazioni genetiche nella discendenza.
Nei primi dieci giorni dopo l’incidente, il reattore di Chernobyl rilasciò 3.000 PBq (picabecquerel, 1PBq = 1015 Bq = 1 milione di miliardi di becquerel), mentre nei mesi successivi la quantità complessiva calcolata fu di 10.800 PBq; un rilascio totale di radioattività nell’atmosfera pari a circa 14.000 PBq (400 volte Hiroshima), come indica il rapporto ufficiale sulla tragedia redatto dal Chernobyl Forum nel febbraio 2003, stilato da agenzie dell’ONU (OMS, IAEA, UNSCEAR, FAO e altre) assieme alle autorità di Russia, Bielorussia e Ucraina.
Sebbene i radionuclidi liberati dall’esplosione della centrale siano stati in numero maggiore, i principali responsabili dell’impatto biologico sono: iodio-131 (emivita 8 giorni), cesio-137 (emivita 30 anni), stronzio-90 (emivita 29 anni). Inoltre, dopo la guerra dei Balcani, si è riconsiderata l’effettiva pericolosità degli isotopi di uranio 234, 235, 238, e plutonio-239, 241, circa la radio- induzione di polmonite da raggi, cancro polmonare e linfomi -Hodgkin e no-Hodgkin: La cosiddetta Sindrome dei Balcani.
L’emissione di iodio-131 gassoso, conseguente all’esplosione del reattore, fu enorme: 1800 PBq, pari a circa 60 miliardi di scintigrafie tiroidee. L’emivita di questo radionuclide è breve se paragonata agli altri, tuttavia l’impatto biologico è assai cancerogeno a causa dell’alto assorbimento da parte della tiroide, soprattutto in popolazioni, come in questo caso, i cui organismi sono carenti di iodio. Ciò avviene soprattutto nei bambini.

Ricaduta di Iodio 131 (fonte)
Il cesio-137 (85 PBq rilevati) e lo stronzio (Sr)-90 (10 PBq rilevati) hanno costituito una minaccia principalmente a lungo termine: entrambi sono contaminanti del terreno, vengono assorbiti da piante e funghi, entrano nella catena alimentare, e da questa passano all’uomo.
Il cesio-137 è un emettitore gamma (portata di circa 40 m), e si concentra negli strati superficiali del terreno; oncogeno anche per azione esterna, è ubiquitario nell’organismo (ha un’attività biochimica simile al potassio), provocando forme cancerose di vario tipo e mutazioni genetiche nella discendenza. Il suo decadimento nella forma più stabile di bario-137 è del 50% nell’arco di 15-180 giorni, se il contatto con la fonte radioattiva cessa. Da qui il progetto umanitario che ha visto migliaia di bambini ucraini e bielorussi accolti anche in Italia per disintossicarsi.
Lo stronzio-90 è un emettitore beta. Si concentra negli strati profondi del terreno, presenta sostanziali analogie con il calcio, e tende a sostituirsi ad esso nella struttura scheletrica. È solubile e quindi assorbibile dal tratto gastro-enterico, provoca leucemia o tumori ossei se ingerito: alte concentrazioni si ritrovano nei cereali, nelle verdure e nel latte; e la sua emivita biologica è di 50 anni: questo significa che un organismo contaminato nei primi mesi di vita, finisce di smaltire la radioattività all’età di cento anni.
Nel caso di Chernobyl, eseguire calcoli, stime e previsioni corrette sui danni del disastro è assai difficile per un numero elevato di fattori, quali il diverso grado di irraggiamento tra operatori e civili, tempo di permanenza nelle varie aree contaminate, evacuazioni in stadi successivi da zone differenti e con differenti livelli di radioattività. A questo si aggiungono dati lacunosi e posizioni prudenti se non evasive di vari organi riconosciuti. Per tutti questi motivi le conclusioni raggiunte – e più o meno accreditate – sono assai distanti: il Chernobyl Forum sostiene che sarebbero 65 le morti accertate direttamente imputabili alla tragedia, nonché 4.000 quelle per patologie oncologiche presumibili nell’arco di 80 anni. Gli autori della relazione aggiungono che le popolazioni direttamente colpite soffrirebbero principalmente di una sorta di “vittimismo”, indicato col nome di “Sindrome di Chernobyl”.
Meno ottimistica la valutazione presentata dai Verdi Europei: il loro contro-rapporto denominato TORCH (The Other Report on Chernobyl, 2006) concorda sui morti immediati (65), ma indica almeno 9.000 quelli ascrivibili alla tragedia a tutt’oggi, e da 30.000 a 60.000 quelli prevedibili in futuro.
Secondo la “Chernobyl Union”, dopo vent’anni dalla catastrofe si contano già 60.000 morti e 165.000 disabili a seguito della contaminazione. Altre fonti meno attendibili indicano cifre che si aggirano sui 6 milioni su scala mondiale nel corso di 70 anni (Greenpeace).
Se anche la verità stesse nel mezzo, non sarebbe certo incoraggiante.
Un nuovo rapporto TORCH è uscito nel 2016 e dice in sintesi:
- 5 milioni di persone in Bielorussia, Ucraina e Russia vivono ancora in aree altamente contaminate.
- 400 milioni di persone vivono in aree contaminate in grado minore.
- Il 37% della ricaduta di Chernobyl si è depositato sull’Europa occidentale; Il 42% dell’Europa occidentale è contaminato.
- Sono stati previsti 40.000 casi mortali di cancro.
- A oggi si sono verificati 6.000 casi di cancro alla tiroide, sono previsti altri 16.000
- Esiste un aumento dei tumori tiroidogeni radiogeni attualmente osservati in Austria (L’aumento della sorveglianza, delle diagnosi e delle esposizioni mediche ai radioiodiodi sono cause parziali ma fino al 40% di
aumentati casi di TC dopo il 1990 in Austria potrebbero essere dovuti a Chernobyl). - Sono in aumento leucemia radiogena, malattie cardiovascolari, carcinomi mammari confermati.
- Comparsa di nuove prove sui difetti radiogenici alla nascita, di effetti sulla salute mentale e sul diabete.
- Comparsa di nuove prove sul presentarsi di malattie radiogene nei bambini nelle aree contaminate.
Tuttavia, al di là dei numeri piuttosto algidi, esistono le conseguenze effettive e tangibili sulla popolazione colpita dal fall-out: se le stime dei decessi sono ancora oggetto di accese discussioni, esse rappresentano solo la punta dell’iceberg costituito da una situazione patologica generalizzata in netta ascesa nell’ambito delle popolazioni interessate: leucemie e neoplasie solide di varia natura (tumori tiroidei specialmente nei bambini), malformazioni congenite, disturbi mentali, malattie metaboliche (diabete), respiratorie e cardio-vascolari. Patologie che, se non mortali, sono sicuramente invalidanti per la generazione presente e preoccupanti per quelle future.
Per chi desidera un diverso tipo d’approccio al problema, su Internet sono facilmente visibili le immagini di questa situazione: povere creature di ogni età, malate, mutilate, deformi, ritardate. L’aspetto più brutale (e meno rispettoso) del dopo-Chernobyl.