MESSICO: Memorie di un viaggio nello Yucatan

yucatan

           

Messico in lingua atzeca significa “luogo dove vive Mēxitli”, dio della guerra. Il paese è 1.972.550 km², circa 6 volte l’Italia. Zorro lo hanno inventato gli Americani. Lo Yucatàn è uno stato e l’etnia Maya si trova anche nei confinanti Quintana Ro (pronuncia chìntanarròo) e Chiapas e in Guatemala, Belize, El Salvador, Honduras. Sotto la penisola dello Yucatàn c’è l’enorme cratere causato dal meteorite che secondo alcuni avrebbe sterminato i dinosauri.

3 dicembre 2015 – Cancùn

Cancun city

Cancun city

E’ notte a Cancun quando esco dall’aeroporto verso le sei e mezzo di sera. Il sole in Messico casca giù prima delle sette, tutto l’anno. Aria umida, marciapiedi bagnati e un gran brulicare di attività mentre mi accendo la prima sigaretta dopo undici ore volo e un tempo interminabile negli aeroporti. Il nuovo mondo è pieno di turisti sudati che si chiamano e corrono in qua e in là alla ricerca di amici, parenti,taxi e pulmini delle compagnie di viaggio. Quelli degli alberghi corrono in qua e in là come cani da pastore per acchiappare gente smarrita.

Cancun aeroporto

Cancun aeroporto

sotto-lhotel

Sotto l’Hotel…

Gli autisti dei pulmini scappano a fumare urlandosi allegri in spagnolo. Qui non c’è molta preoccupazione per l’inquinamento, motori accesi a go-go e puzza tremenda di tubi di scappamento.   Da quel poco che ho visto di Cancun, credo sia la città più brutta del mondo,  grattacieli scintillanti che sembrano un fascio di matite strette nel pugno e tante baracche ai loro piedi.  Del resto Cancun, che appare dall’aereo come un granchio di luci sul mare, è una città nata dal nulla pochi decenni fa (anni ’70), per la gioia dei turisti americani. Cancun (Kan Kun in lingua Maya) significa “nido di serpenti”. Intorno c’è solo jungla.

Anche qui è inverno ma ci sono 27 gradi e il 100% di umidità,quindi mi levo giacca a vento e maglione alla rapidità della luce. Finalmente ci siamo tutti e saliamo sul nostro van, il primo di una lunga serie. L’aria condizionata è a palla, mi rivesto alla stessa velocità. Prendersi un accidente proprio all’inizio magari no.

In albergo (La Quinta Inn, non andateci) ci aspetta Felipe, la nostra guida. Basso,grasso e allegro “di madre maya e di padre spagnolo” è il messicano che ti aspetti.

La Quinta Inn

La Quinta Inn

Meno male che c’è lui, l’albergo fa paura, con faccioni indios che ci fissano immobili (non sono statue ma i proprietari), vari panciuti esponenti della vigilanza armata (tipo il sergente Garcia) che dormono nel ristorante a bocca aperta o guardano la partita di calcio con un coro di heyheyheyyyyyy! quando segna l’America. Che sarebbe una squadra messicana.  Felipe ci guarda- siamo tutti stanchi, affamati, imbambolati dal fuso orario – e dice “Eeeeeh lo so, dura la vita del turista eh?”. Riesco a raggiungere la mia camera trascinando valigione e bagaglio a mano (facchini nada, eppure non sono una turista fai da te, sono con Alpitour!). Non c’è il wi-fi. Cartelli terroristici avvisano di non bere l’acqua del rubinetto (evabbè, questo si sa) e cosa fare in caso di uragano. In pratica scappare in cantina.

Questo è un letto SINGOLO.

Questo è un letto SINGOLO.

Dalla finestra della splendida camera dove passerò la mia prima notte messicana si vede un take-away cinese col tetto di lamiera. La zona ristorante sembra un bar con la mensa dei poveri.

la sala ristorante a La Quinta Inn

la sala ristorante a La Quinta Inn

Per le scale incrociamo un travestito truccatissimo con minigonna e tette al vento che va verso la zona camere, presumo a lavorare.

Mentre ingurgito una cena a base di purè e striscioline di carne sconosciuta, sempre sotto gli occhi impassibili dei faccioni (oddio, stampiamoci un’espressione di beatitudine, non sia mai che questi tirano fuori il machete…). Leggo sul tablet che Cancun è divisa in due parti, la Ciudad, dove vive la popolazione locale e la zona Hotelera dei turisti: questa è una ex- isola  protesa nel Mar dei Caraibi e collegata alla terraterma da una specie di “L”che racchiude una splendida laguna blu. Noi siamo sicuramente nella Ciutàd.  Felipe ci informa sul programma del giorno dopo. Sveglia alle sei. Colazione. Partenza massimo alle sette. Noi lo guardiamo malissimo e lui sghignazza (dura la vita del turista). Vengo svegliata dal mio sonno-svenimento alle 5.30 del mattino: è Felipe che urla nel telefono: – Buenas dias buenas dias! Sveglia sveglia, dobbiamo partire dobbiamo partire!

Come si dice fanculo fanculo in spagnolo? Alla meno peggio, imbarchiamo nel pulmino e partiamo al suono di Cielito Lindo e la Malaguena. La mia valigia è così pesante che l’autista mi chiede se c’è dentro un muerto. Felipe ci insegna l’uso ineffabile della parola più usata in Messico: cabron! 20151210_084251

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