Zona Nera: Sant’Anna di Stazzema, 12 agosto 1944. Sfollamento in Versilia – [4]

Lo sfollamento della Versilia

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A partire dal 30 giugno 1944[1] viene emanata una serie di ordinanze di sfollamento con le quali si costringe tutta la popolazione ad abbandonare il territorio per evitare intralci alle manovre e per eliminare le fonti di approvvigionamento ai partigiani[2]. Forte dei Marmi viene sfollata il 1 luglio in otto ore. Nel giro di qualche settimana, stessa cosa accade per i comuni di Seravezza, Pietrasanta e Stazzema (il giorno 5 luglio, l’ordine riguarda la zona che da Strettoia va fino a Cin­quale). pietrasantaSecondo i manifesti di sfollamento, la popolazione avrebbe dovuto dirigersi, attraverso il Passo della Cisa, a Sala Baganza (Pr) in attesa di passare il Po.[3] Chiunque fosse stato sorpreso in zona di evacuazione dopo il termine ultimo senza valido motivo, sarebbe stato arrestato e passato per le armi. Nel frattempo, squadre di genieri nazisti procedono alla sistematica distruzione di tutte le infrastrutture, fra Strettoia e il Cinquale, che possono ostacolare la linea di vista dalle alture retrostanti la piana, tra cui interi paesi:

“Ripa, Corvaia, Strettoia e, giù, la piana, si può dire fino al mare, son già tutto un cimitero. Cadono le ultime case con le mine e la dinamite. Orti, vigneti, campi sono devastati, senza neppure una parvenza di discriminazione e gli uomini costretti a prestare la loro opera in tali e tante devastazioni (…)”[4] [5]

Il paese di Ripa, prima

Il paese di Ripa, prima

... E dopo

… E dopo

Quando il 15 lu­glio l’ordine di sfollamento giunge al comune di Seravezza, l’esodo assume aspetti biblici. La gente resta per la massima parte in Versilia e si sposta di zona in zona una, due, tre, quattro volte, passando per il crocevia obbligato di Val di Castello (Pietrasanta, Lu) nella cui zona “Da 25 a 30 mila persone sono sparse fra la Pieve e il Pollone”[6]. Non vuole e non è in grado di sfollare più lontano, mancano i mezzi di trasporto, si tratta di valicare le Apuane a piedi con vecchi, bambini, masserizie e bestiame senza sapere cosa attende alla fine del viaggio. Si temono atti di sciacallaggio nelle proprietà incustodite. Moltissime famiglie si incamminano verso la Cisa ma poi, nel disinteresse dei tedeschi che avrebbero dovuto scortarli, prendono deviazioni e raggiungono località in zona. I luoghi dove va a concentrarsi più fittamente la popolazione sono le aree del comune di Stazzema e quelle circostanti, sulle Apuane, ad altezze che vanno dai 700 ai 1000 metri.[7]

sull'appennino 2

In cerca di cibo

Ovunque si cerca rifugio presso amici e parenti ma ogni tipo di  sistemazione è buona: chiese, canoniche, locali sfitti, metati, stalle, grotte, miniere abbandonate. Anche le tende da campeggio ospitano intere famiglie di sfollati. Manca il cibo, l’economia è paralizzata e gli esercizi commerciali chiusi, sono abolite anche le già scarse razioni delle tessere annonarie. L’unica risorsa è il mercato nero, lunghe file di versiliesi (uomini e donne) passano a piedi l’Appennino per rifornirsi nella ricca Emilia e rivendere o consumare quanto ottenuto. Il problema alimentare si fa ogni giorno più grave, fino a trasformarsi nel principale incubo degli sfollati e non solo. E’ stato calcolato che l’alimentazione quotidiana “ufficiale” è in questo periodo inferiore alle 1000 calorie giornaliere.[8]

“Il primo ricordo che ho della Liberazione è un pane bianco tenuto da un’enorme  mano nera…” [Enrica Rossi, viareggina. NdA: a Viareggio arrivò la divisione  afroamericana Buffalo]

La Buffalo al Cinquale

La Buffalo al Cinquale, 1945

La situazione igienica è grave, si acutizzano malattie come la scabbia e la pellagra, regna la pediculosi da infestazioni di pidocchi, pulci, piattole e cimici. Ben più gravi, le febbri tifo- paratifoidee e le gastroenteriti. Nella zona si scatena un’epidemia di tifo, debellata solo nel ’47 con le medicine portate dagli Alleati.[9] Inoltre, aumenta la TBC a causa della ipoalimentazione. La mortalità neonatale è altissima.

Particolarmente difficile è il procacciamento del sale, introvabile già dalla primavera del ’44: una minima quantità può essere estratta dall’acqua di mare ma l’intera fascia costiera è minata, tranne un unico corridoio di spiaggia presso la foce del fiume Versilia, al Cinquale, strettamente presidiato.

Postazione nazista al Cinquale

Postazione nazista al Cinquale, 1944

Si snoda qui ogni giorno una lunga fila di donne – gli uomini sarebbero stati “visti e presi” – in coda per poter raccogliere un secchio d’acqua di mare. In generale, sfidando i tedeschi e gli aerei alleati, spesso percorrendo a piedi incredibili distanze, sono le donne a tornare alle proprietà abbandonate, cercando frutta o verdura per i figli e i mariti lasciati in montagna. “Quell’estate era caldissima e c’era una quantità enorme di frutta nei terreni abbandonati. I preti dicevano: “Se potete, chiedete. Se non potete, prendete”. [Giuliana Rossi nei Checchi, viareggina sfollata a Rosi (Camaiore)]

Si mangiava l'erba...

Si mangiava l’erba dei campi.

Sant’Anna, estate ‘44

E Sant’Anna? Cosa sta succedendo nel paesino sperduto tra i boschi delle Apuane, nel bel mezzo della linea gotica ancora da terminare, pieno di sfollati di ogni tipo, con i partigiani sulle alture che incalzano tedeschi e fascisti mentre gli Alleati sono dietro l’angolo? La cosiddetta “guerra ai civili” da parte dei tedeschi altrove è già cominciata, ma le notizie arrivano poco e male: la popolazione non sa e non si rende conto dell’escalation di violenza che sta trasformando la zona in un teatro di scontro tale da non risparmiare niente e nessuno.[10]

Un passo indietro: Sant’Anna “prima”

Chiedersi come fosse la comunità di Sant’Anna prima dell’Eccidio ha un senso preciso, in quanto ogni evento storico non è avulso da un contesto generale e – oltre a generare un “dopo”-  a sua volta deriva da un “prima”. Nel caso di Sant’Anna si è parlato moltissimo del “durante”, non abbastanza del “dopo” e poco del “prima”.

La popolazione stanziale di Sant’Anna è gente semplice, dedita all’agricoltura montana, alla pastorizia e al lavoro nelle vicine miniere di monte Arsiccio. Prima dell’acutizzarsi del conflitto, la vita quotidiana sembra cristallizzata nel tempo, tutto si svolge come un secolo prima o più: mezzi di sussistenza strappati alle rocce, ai castagneti, alle piccole coltivazioni familiari – di proprietà o “a contadino”. Diverse famiglie hanno, oltre alla casa di residenza, dei ricoveri nei terreni che coltivano, punti di riferimento per le attività agricole e gli animali. La ricchezza è possedere una mucca, oltre agli animali da cortile, e qualche pecora. Prima del 12 agosto i residenti abituali sfiorano le 400 unità, i maschi adulti in guerra non sono molti (una ventina) in quanto i minatori avevano, almeno inizialmente, l’esonero dalla leva.[11] 16contadini

I nuclei famigliari sono numerosi: nonni, genitori, figli (molto spesso tanti figli: nomi come Settima, Enio, Decimo, Ultimio lo confermano) e poi zii e zie, cugini, in un’intricata rete di parentele che sembra formare un’unica complessa famiglia dove i cognomi sono sempre gli stessi: Pardini, Bertelli, Pieri, Gamba, Bottari, Battistini e così via. Anche i bambini devono contribuire al sostentamento della famiglia, la scolarizzazione è molto modesta e le femmine sono spesso [12] penalizzate.

Bambini di Sant'Anna alla fine del loro ultimo anno di scuola

Bambini di Sant’Anna alla fine del loro ultimo anno di scuola

Nella scuola è attrezzato un centro di primo soccorso ma non esiste strada carrozzabile: per arrivare all’ospedale di Pietrasanta (poi spostato a Valdicastello durante il conflitto) occorrono due ore a piedi di mulattiera, estate e inverno.

La scuola, anni '60

La scuola, anni ’60

Nel paese non c’è elettricità, quindi nemmeno la radio, né acqua corrente. Non arrivano giornali. Le abitazioni sono composte da ambienti sovrapposti con pavimenti in legno: in genere, in basso i ricoveri per gli animali; sopra, la cucina e sopra ancora la camera da letto, spesso unica per tutta la famiglia.

C’è la chiesa ma la comunità è troppo povera per mantenere un parroco: ne fa le veci quello della Culla, don Giuseppe Vangelisti. La bottega del paese possiede l’unico telefono e le notizie arrivano per passaparola, da chi scende a valle o sale al paese per piccoli commerci. Tuttavia Sant’Anna non è un microcosmo avulso dal suo contesto storico, infatti possiede le figure politico- istituzionali dell’epoca: il Segretario del Fascio[15], il Capo Frazione[16], il Capo Ammasso[17].

Parte dei santannini è fascista, per convinzione o per necessità come ovunque in Italia. Indubbiamente vivere in un posto così isolato protegge dalla brutalità politica presente nelle città, perché qui “tutti conoscevano tutti e tutti erano imparentati con tutti”[18] e quindi ogni “sgarbo” avrebbe fatto il giro del paese e in qualche modo sarebbe stato vendicato. Da altre fonti[19] sappiamo invece di un alto livello di conflittualità nel paese – per appartenenza politica, provenienza familiare, distinzione di classe – tale da influenzare la distribuzione territoriale e le strategie residenziali:” Le diverse affiliazioni politiche fanno si che ancora oggi la memoria della strage sia un’arena di tensioni”[20]. Dice Enrico Pieri (non ci sono legami di parentela con Mauro Pieri): “Perché quel periodo era il periodo dell’odio proprio, anche fra gli stessi paesani, fra le stesse famiglie c’era l’odio che poi ha portato alla distruzione dell’umanità […]” [21]

E’ probabile quindi che anche la micro realtà di Sant’Anna prima della strage non fosse così idilliaca come emerge dai ricordi di altri sopravvissuti, che nel ’44 sono ancora bambini.[22] Ma nel complesso i santannini sono giudicati “gente che lavora duramente e senza pretese [ed ]è ugualmente felice al pari di tutti gli altri montanari” [23].

Squadra femminile delle miniere dell'Arsiccio, anni '40. (M. Piccolino)

Squadra femminile delle miniere dell’Arsiccio, anni ’40. (M. Piccolino)

Un’altra testimonianza su come fossero gli abitanti del paese è riportata da Paolo Pezzino[24] e appartiene a Rolando Cecchi Pandolfini che nel ’43 si occupa della distribuzione delle tessere annonarie. Tra le altre  cose, il Pandolfini riferisce una profonda differenza rispetto ai paesi montani vicini: “ [le altre frazioni di Stazzema] erano fortemente protesi al miglioramento delle loro condizioni, erano battaglieri; qui [a Sant’Anna] la vita era statica, il paese era chiuso e isolato verso valle”. Il campanilismo, straordinariamente marcato in Versilia, va ad aggiungersi all’isolamento del paese. Si può nel complesso intuire come i santannini non fossero l’un contro l’altro armati per ragioni politiche: si discuteva di fascisti e partigiani ma altrettanto di confini fra terreno e terreno. E gli oppositori al regime non avevano, in genere, da temere olio di ricino o pestaggi[25], bensì la perdita del lavoro, il rastrellamento, il lavoro coatto alla Todt o in Germania. In sostanza, un paese con le normali conflittualità di ogni gruppo sociale, in parte mitigate dalla familiarità e dalla stretta convivenza, in parte esacerbate dal particolare momento storico.  Todt

Tutto questo inizia a cambiare dopo l’8 settembre: i versiliesi cominciano a cercare rifugio in Alta Versilia, ma l’inverno del 1943/’44 trascorre tutto sommato tranquillo. Si sente il rombo degli aerei alleati che bombardano e il fronte si sta avvicinando ma “ci sembrava che tutto ciò facesse parte di un altro mondo, che Sant’Anna sarebbe rimasta tagliata fuori da avvenimenti così grandi e terribili. [Duilio Pieri][26]

Questa sensazione, come vedremo, aveva un substrato concreto di pericolosa verità.

Gli sfollati 

Sfollati nella zona di Cassino

Sfollati nella zona di Cassino

“Le misure di evacuazione prese nell’Italia centrale […]non avevano affatto lo scopo di salvare la popolazione civile dall’approssimarsi del fronte. Piuttosto, il 23 giugno, Kesselring, mentre veniva intensificata la “lotta antipartigiana” e ‘ai fini di della sicurezza del fronte’, ordinò di spostare verso nord la popolazione toscana. In questo caso si trattò di una misura punitiva, che venne così motivata:’i combattimenti al fronte degli ultimi giorni hanno dimostrato che la popolazione maschile italiana fornisce un rilevante aiuto al nemico e in parte contribuisce attivamente alla lotta contro le truppe tedesche”.[27]

Kesserling

Kesselring

 

Nell’estate del 1944 la popolazione  a Sant’Anna è quasi quadruplicata: oltre mille sfollati provenienti prevalentemente dalla piana della Versilia ma anche da zone più lontane: i Tucci da Foligno, i Pavolini da Piombino, i Bonati e gli Scipioni da La Spezia, gli Scalero da Genova, i Cappiello da Napoli, i De Martino da Castellammare di Stabia, i Danesi da Pavia, i Ficini dall’Isola d’Elba e molti altri. Molti sono parenti o amici dei residenti, altri sono forestieri in cerca di rifugio[28]. Fin dal giugno ‘40, infatti, ma soprattutto , in tutta la penisola milioni di italiani si allontanano dalle città bombardate e, più tardi, dalle zone attraversate dal fronte militare, per cercare un rifugio più sicuro.[29] Niente di strano che le persone arrivino da oltre Versilia (tutto sommato meno colpita dalle azioni più cruente almeno fino all’8 settembre) magari provenienti da città già bombardate nei primi anni di guerra. Per esempio, la famiglia Scalero da Genova si sposta a Forte dei Marmi dove ha una casa delle vacanze, e poi a Sant’Anna.[30] C’erano però episodi di sfollamento in direzione opposta:

“Nella nostra casa di Vallecchia prima venne la Wermacht e ancora ancora si poteva stare.

Casa Avita, Ferruccio Vezzoni

Casa Avita, Ferruccio Vezzoni

Avevano requisito le stanze di sopra e noi ci eravamo spostati al piano terra. Ma poi, quando arrivarono le SS le cose eccome se sono cambiate… Allora siamo sfollati a Solaio, in un metato, eravamo noi di famiglia (quattro persone), una coppia di coniugi e altri parenti con una bimba neonata. Abbiamo portato su un carrettino di roba, il resto lo abbiamo nascosto nelle cisterne interrate, ma è stato rubato tutto. Poi però lassù a Solaio cominciò ad arrivare gente strana, sconosciuta, che ci guardava male. Ci siamo spaventati e abbiamo deciso di raggiungere Cremona, dove mio cognato faceva il Capo Ammasso, anche perché non avevamo più niente da mangiare, mancava il latte per la bambina, i nostri soldi erano bloccati nelle banche chiuse. La mattina che scesi a Seravezza per andare dai tedeschi a chiedere il permesso di viaggio, al ponte del Pretale[31] vidi due corpi impiccati e con orrore mi resi conto che uno dei due era Virgilio Furi, una delle persone che abitava con noi. Vomitai per giorni solo al pensiero, e la cosa più terribile fu informare la moglie. Si partì in fretta e furia, arrivammo alla stazione di Pietrasanta ma non c’erano treni, allora io mi misi in mezzo alla strada a urlare “Sprichst Du Deutsh?” perché stavano passando dei camion tedeschi. Uno si fermò e ci portò a La Spezia. Lì abbiamo abitato in una specie di galleria, poi dei miei amici dell’Università di Pisa ci hanno aiutato. Non abbiamo più proseguito.” [Giulietta Vezzoni nei Gamberini][32]

Tornando a Sant’Anna, è impossibile sapere  con esattezza numero e provenienza di chi vi fosse riparato il 12 agosto, soprattutto considerando ciò che è avvenuto in zona non molto tempo prima, ovvero nel mese di luglio: il 28/29 luglio le frazioni stazzemesi ricevono l’ordine di sfollare come il resto della Versilia e gli spostamenti diventano convulsi: c’è chi si allontana e poi ritorna, i nuclei familiari si dividono, alcuni restano e altri cercano sistemazioni via via ritenute più sicure.[33]

L’impatto fra gli abitanti di Sant’Anna e gli sfollati è all’inizio una “cosa morbida”, in quanto i primi a rifugiarsi in paese, subito dopo l’8 settembre, furono amici (es: i finanzieri ospitati dalla famiglia Pardini) o parenti che volevano allontanarsi dalle zone costiere o evitare l’arruolamento o la deportazione. Persone “conosciute”, insomma.

Il grosso degli sfollati arriva presumibilmente nella primavera del ’44 e non si ferma fino a quel terribile giorno d’agosto, quando a Sant’Anna ci sono circa 1500 persone. Alcuni gruppi famigliari sono sconosciuti ai residenti. In molti sono arrivati anche dalla vicina Farnocchia, a causa dei fatti di fine luglio, la battaglia di Montornato,[34] e l’incendio di Farnocchia.[35]

Farnocchia

Farnocchia

Di questa situazione racconta Duilio Pieri: “I disagi che ci venivano imposti da questa nuova situazione non ci pesavano: facemmo del nostro meglio per andare incontro alle necessità di tanti nostri fratelli più sventurati di noi e ci ritenemmo ancora fortunati perché la guerra si manteneva lontana dalle nostre case”. [36] La coabitazione forzata  può aver creato problemi sia per l’affollamento sia per il cibo, ma si tratta di una situazione che la gente del paese deve accettare e, per amore o per forza, i santannini dividono quello che hanno: la fame e la povertà, la capacità di sopravvivere in una terra avara e un’atavica tenacia; nell’emergenza dimostrano un notevole spirito d’accoglienza. D’altra parte si presume che gli sfollati – non solo a Sant’Anna – condividessero o barattassero quanto avevano potuto portare con sé.

In altri luoghi vicini, il rapporto è meno facile:

“Le donne di C… ci dicevano: vi faremo tornare a casa vostra nude senza un cencio addosso. E volevano roba, lenzuola, tovaglie, gioielli in cambio di qualsiasi cosa. E per spaventare i loro bambini dicevano” Ti faccio mangiar dagli sfollati!”. [Giuliana Rossi nei Checchi, viareggina]

D’altro canto, i neo formati Comitati di Liberazione Nazionale (CLN) premevano sui contadini affinché non denunciassero raccolti e animali all’ammasso fascista, ma li mettessero a disposizione di sfollati e combattenti. Bergamini e Bimbi riportano questo volantino: “Salvate con ogni mezzo il bestiame! I Tedeschi ve lo porteranno via senza tanti complimenti!”. Su questa linea era anche il Comitato Agricolo (in pratica l’ammasso della Resistenza): “Non temete! Non siete soli!  chiamate i partigiani che vi aiuteranno sempre contro il nemico fascista e tedesco! […]”[37] 

Lo “sfollamento” – che alla fine non c’è stato –  di Sant’Anna è ancora oggi un punto poco chiaro, con una dinamica diversa dagli altri piccoli centri circonvicini. Dopo la fascia costiera e l’entroterra pedemontano, a fine luglio è arrivato anche per il comune di Stazzema[38] – strapieno – l’ordine  di sfollare, valido ovviamente anche per le frazioni; ma la maggior parte delle persone è restia a muoversi. Tuttavia, dopo la battaglia di Monte Ornato, a Sant’Anna comincia la paura. Nonostante l’esortazione del volantino partigiano a restare, in molti lasciano il paese e si rifugiano in grotte e baracche nei dintorni[39] o in altre frazioni.

Sfollamento, Robert Capa.

Sfollamento, Robert Capa.

A questo proposito, nel diario di Don Vangelisti datato 1945[40] si legge: “… L’esodo che si effettuò, poi, forzato ma quasi totalitario delle famiglie di Sant’Anna fu per me come un sollievo da un incubo che mi aveva tormentato l’animo da tempo.” Purtroppo però “non succede niente”,  il vivere accampati peggio degli animali è insostenibile e arrivano le “rassicurazioni tedesche” su “Sant’Anna zona bianca”: la maggior parte della gente rientra dopo qualche giorno nelle abitazioni. Il breve esodo infatti non è provocato tanto dagli ordini tedeschi quanto dal timore di rappresaglie.

Le immagini fotografiche relative allo sfollamento nella Versilia sembrano non esistere, come se nessuno avesse voluto o potuto conservarne testimonianza. Ma la situazione è la stessa in quasi tutto il paese, specialmente nelle città: paura e fame nera.

Caterina Martinelli uccisa dei repubblichini durante un assalto al forno. Maggio '44, Roma

Caterina Martinelli uccisa dei repubblichini dopo un assalto al forno. La razione di pane era di 100 grammi al giorno. 2 Maggio ’44, Roma

[1] http://www.lapania.it/admin/upload_doc/file/la_pania_n_88.pdf

[2] ”I Podestà e i Commissari Prefettizi provvederanno subito a nominare, in ogni frazione, un capo-frazione, che avrà il compito di convogliare la popolazione civile che intende evacuare, quando sia dichiarato lo stato d’emergenza, oppure tutta la popolazione di una zona, dalla quale venga stabilita l’evacuazione forzosa […]” Testo completo: http://www.istitutostoricoresistenza.it/pdf/qf/qf2013n3.pdf pg 41

[3] Nella seduta del 18 aprile 1944 il Consiglio dei Ministri delibera nomine di Capi Provincia: per Lucca è il dott. Luigi Olivieri,- [NB: tutti i Capi Provincia nel corso del 1944 saranno trasferiti, con una ventina di nuove nomine, Olivieri è sostituito da Idreno Utimperghe dal 1 agosto ‘44] – che elabora un piano di “sfollamento totale”particolareggiato, in dieci punti: http://www.rigocamerano.it/spintrallegato2.htm

[4] “L’eccidio di Sant’Anna”, Alfredo Graziani

[5] http://www.toscananovecento.it/articoli/temi/page/15/

[6] Si intende la Pieve di Valdicastello. Il Pollone è l’omonima miniera, ai piedi del monte Arsiccio.

[7] http://www.toscananovecento.it/custom_type/guerra-e-sfollamento-in-versilia/

[8] La quantità individuale giornaliera di alimenti deve apportare in totale da 2500 a 3500 calorie in base all’attività fisica e non deve scendere mai al di sotto di 1800-2000 calorie. In totale, il numero di calorie assicurate al consumatore “normale” mediante il tesseramento in guerra e subito dopo è stato in media di 1100 calorie al giorno ( 978 nel dicembre 1941, 836 nel dicembre 1942 e nel giugno 1943, di 678 nel giugno 1946) quindi in misura notevolmente inferiore al fabbisogno minimo. http://www.storiologia.it/mussolini/razionamenti.htm

[9] Federico Bertozzi, Attaccarono i fogli, si doveva sfollà!

[10]  http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede/stragi.htm

 

[11] http://www.santannadistazzema.org/sezioni/IL%20PAESE/

http://www.santannadistazzema.org/sezioni/il%20paese/pagine.asp?idn=1025

[12] La scuola viene edificata solo negli anni ’30 su iniziativa di un san tannino, il brigadiere dei carabinieri Severino Bottari. Maestri e alunni (maschi e femmine), portano le pietre necessarie a spalle dal piano. Nel periodo e zona descritta, si riteneva non ci fosse bisogno d’istruzione per le femmine.

[13] Da RAI Storia

[14] https://novatlantide.files.wordpress.com/2016/05/63df8-giaciglio.jpg

[15] Rinaldo Bertelli

[16] Farnocchi Italo, macellaio e sagrestano, succeduto a Duilio Pieri

[17] Aspasio Pellegrini, abitante all’Argentiera, Paoletti 2014 pg 510

[18] De Pasquale Caterina, pg 8 nota 1

[19] Francesca Cappelletto 2006, pg 196, Memoria a lungo termine di avvenimenti estremi: dall’autobiografia alla storia. https://acerbialberto.files.wordpress.com/2013/03/modellidellamente.pdf

[20] Idem

[21] Oliviero Toscani, Sant’Anna di Stazzema, 12 agosto 1944: Enrico Pieri

[22] altre testimonianze indicano “diverse identità sociali, occupazionali, residenziali rilevanti” e di “differenti tradizioni, affiliazioni politiche e conflitti interni” alla comunità. Cappelletto

[23] Diario Don Vangelisti

[24] [Storia di una strage, pg 14]

[25] In realtà di almeno un pestaggio fascista a Sant’Anna si ha notizia: quello di Guido… , minatore,  che negli anni trenta morì per i traumi riportati lasciando moglie e figli.[Piccolino]

[26] Pisanò

[27] Bergamini e Bimbi, rif. Lutz Klinkhammer, L’occupazione, cit pag 383

[28] C’è da considerare che il fenomeno dello sfollamento si verifica durante la seconda guerra mondiale a livello nazionale (nonché europeo).

[29] Elena Cortesi, Poteri centrali e periferici di fronte allo sfollamento di massa: il caso della provincia di Forlì, 1940-1944; http://storicamente.org/02cortesi; http://dx.doi.org/10.1473/stor382

 

[30] Genova fu bombardata la prima volta il 14 giugno 1940 (Battaglia di Genova)

[31] E’ il 29 luglio ‘44

[32] Giulietta Vezzoni,  classe 23 e ultima di quattro fratelli, è figlia di Italo, scultore, sorella di Ferruccio e  Fernando “Nandino” Vezzoni; http://www.maitacli.it/si-sono-fatti-onore/42-artisti-di-pietrasanta

[33] Il motivo di tutto questo è da attribuirsi anche alle notizie contraddittorie sulla sicurezza del luogo, ai bandi di sfollamento e al volantino dei partigiani, elementi che vedremo in seguito.

[34] 27-31 luglio: un grosso rastrellamento investe la zona occupata dalla X bis Brigata Garibaldi. Si combatte soprattutto sul Monte Ornato [nella Casetta Bianca c’era il comando partigiano] e sula mulattiera di Farnocchia.[Vezzoni, all’Alba di Sant’Anna, pg 96 nota 3].

[35] Gli abitanti di Farnocchia scappano in massa e il paese viene bruciato l’8 agosto per rappresaglia dai tedeschi.

[36] Giorgio Pisanò, Sangue chiama Sangue, C.D.L. EDIZIONI s.r.l. MILANO 1994

[37] Bergamini e Bimbi, op. cit.

[38] L’ordine di sfollamento arriva a Stazzema il 29 luglio.

[39] Don Vangelisti

[40] Sopralluogo a Sant’Anna subito dopo l’eccidio”, in Costantino Paolicchi e Guido Salvadori, Guida per un pellegrinaggio di pace.

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2 risposte a Zona Nera: Sant’Anna di Stazzema, 12 agosto 1944. Sfollamento in Versilia – [4]

  1. brunobac ha detto:

    Grande articolo, e ben documentato

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