Vieni a Me

Un racconto di Cristina Donati e Giuliano Clun

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L’aveva conosciuta in passato, ma senza desiderarla come gli sta accadendo ora. In città sanno bene chi è Mania, lei incontra tutti prima o poi. A volte capita di cercarla, altre di eluderla. Oppure compare suo fratello Mot. Abitano sotto lo stesso tetto, però nessuno può dire di averli mai visti insieme.
Mentre il tramonto sfuma i colori di San Giovanni d’Acri, ultima roccaforte cristiana del morente Regno di Gerusalemme, Raymond appoggia le spalle al muro della chiesa e si lascia scivolare a terra. L’ora del crepuscolo è quella che preferisce, porta con sé profumo di mare e gelsomini. I suoni cessano e la polvere si posa.
Non ha avuto una vita facile, il calore della famiglia gli è stato tolto presto. Ha il nome di suo padre, ucciso sotto i suoi occhi dai saraceni quando aveva cinque anni, e il ricordo di sua madre Eirine che, poco dopo, si era incamminata nel deserto di Giuda a morire. Raymond l’aveva seguita piangendo, senza capire che lei non era in grado di sopportare quella perdita. L’avevano raccolto alcuni carovanieri di ritorno dalla Siria, la mano rigida di lei ancora a sfiorargli gli occhi, e deposto sulla soglia della chiesa di San Giovanni d’Acri ormai in fin di vita.
Ripensando alla madre, non sa se l’ha perdonata. Mentre la ricorda raccontare di come la rugiada raccolta al chiaro di luna sia magica, si chiede se lo siano anche le lacrime.
E’ cresciuto in seno alla Chiesa e ama prendersi cura della gente, assisterla e proteggerla durante i lunghi pellegrinaggi in Terrasanta. Per questo milita negli Ospitalieri ma non è più come prima: l’Ordine è diventato un corpo militare vero e proprio, i servizi di scorta sono rari e i combattimenti sempre più frequenti. Ogni mattina viene dispensata l’assoluzione per le uccisioni non ancora commesse.

Raymond non sopporta più di ammazzare nel nome della religione, i dubbi tormentano da tempo e lacerano dentro, facendolo soffrire. Non si è abituato al sangue che gli lorda le mani e ai pellegrini che sputano sui corpi dei nemici morti, perché tutto questo distrugge la sua ragione di esistere. Si rende conto di togliere la vita con una mano e di dispensarla con l’altra, risparmiando qualcuno oggi perché possa essere il carnefice di qualcun altro domani. Sente vergogna, per questo mangia poco e dorme ancora meno, ma quando riesce a chiudere gli occhi i fantasmi di coloro che ha ucciso lo circondano:
Infedele, sussurrano quegli spiriti quasi con affetto, facendogli cenno di raggiungerli, noi siamo in pace, adesso.
Il loro richiamo è irresistibile.
Quando si alza da quel muro è già notte, ma conosce bene la strada verso la città bassa. S’incammina nel buio ancora saturo degli odori del giorno – uomini e bestiame, sudore e urina. Il ricordo del mare e dei gelsomini si perde, mentre diventa nitido il pensiero di Mania e il desiderio cresce. Trova quella casa del colore delle ossa, esita solo un attimo davanti all’entrata, poi si taglia i polsi. Le porte si aprono.
La voce suadente lo accoglie: «Samaritano nero, non dovresti essere qui»
Mania ha i capelli corvini e un’età indefinibile. Il corpo ben nutrito non contrasta con il suo fascino, anzi lo accentua. E’ avvolta in una miriade di veli rossi e al collo porta due monili, uno d’ossidiana e l’altro d’onice, le pietre nere dei morti. Risaltano meravigliosamente sulla pelle candida.
Si alza e si avvicina a lui sorridendo. «Anche tu non comprendi il valore della vita? Così tanti di voi hanno fretta di gettarla via, piccoli chicchi di grano verde che preferiscono perdersi a terra e non hanno la pazienza di maturare sotto il sole della sofferenza fino al tempo della mietitura. Non c’è alcun guadagno per me, in un suicidio. Vieni a me quando sarà il tempo, né un attimo prima né uno dopo. »
«Ho poca cura per il tuo guadagno» risponde lui sostenendo il suo sguardo.
Mania continua a sorridere e gli slaccia il cinturone. Il suo profumo ricorda l’incenso e la terra scura. Sfodera la spada con disinvoltura, accarezza con l’indice la coccia scorrendo poi sulla guardia crociata, come un fabbro che ammira un lavoro ben realizzato. Soddisfatta, lo prende per mano e lo conduce in un’altra stanza, dove una larga vasca di marmo occupa tutto il centro. Mentre lo spoglia, lo sospinge nell’acqua, calda e profumata, poi fa scivolare i veli a terra e l’attimo dopo gli è alle spalle. Le sue gambe lunghe e lisce gli cingono i fianchi, le sue mani cominciano a lavargli la schiena.
«Quante volte siamo stati l’uno al fianco dell’altra, così vicini» sussurra, mentre le dita scorrono sulle cicatrici.
«Spada»
«Frecce»
Poi gli scosta i capelli dalla nuca e ride di gusto.
«Acqua bollente, a tre anni!»
Ogni sua carezza sembra lenire il peso, ogni tocco alleggerisce l’animo. Raymond ne è sicuro: ci si deve sentire così nell’utero materno.
Poi Mania gli volta il viso «Posso farti tornare indietro, darti una ragione di vita, l’assoluzione per i tuoi peccati. Puoi ancora scegliere» e lo bacia. Quando Raymond accetta il suo abbraccio le visioni del futuro più probabile lo raggiungono, chiare.

… San Giovanni d’Acri è in fiamme. I Turchi distruggono le chiese di Dio, insozzano gli altari. Circoncidono i cristiani e gettano il loro sangue nei fonti battesimali. Ne squarciano i ventri, legano gli intestini attorno a un palo e frustano le vittime finché le loro viscere non sono attorcigliate a quel palo, finché non le vedono morte a terra. Altri vengono colpiti con le frecce, ad altri ancora – i suoi compagni – viene stirato il collo per poterli decapitare con un solo colpo di spada.
Raymond è fra loro ma nessuno lo vede. Alza la spada e fa scudo col proprio corpo, ma le armi e la violenza attraversano il suo spettro impotente. Lui non esiste in quell’atto finale, può solo guardare e provare orrore e vergogna per la sua gente che muore senza che lui possa alzare un dito.
Orrore.
Vergogna.
Raymond si allontana da quella stanza, da quella porta e da quella scelta, sente appena la risata cristallina di Mania svanire dietro di lui come un’eco.
Il mattino lo trova all’esterno, sulle mura della cittadella, mentre assapora come la prima volta l’aria fresca e, finalmente sereno, vive la sua seconda nascita.
Un raggio del sole nascente colpisce le mura e la sua fronte, assieme alla prima freccia del nemico.

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