Ebola Outbreak 7: Epidemia 2014 – Aggiornamento e Media

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Rapporto della WHO del 5 novembre 2014, aggiornato al 2 novembre 2014

Al 2 novembre, 13042 casi totali (probabili, sospetti e confermati) di Ebola Virus Disease (EVD) relativi a sei paesi colpiti dall’epidemia (Guinea, Liberia, Mali, Sierra Leone, Spagna e USA) e a due colpiti in precedenza (Nigeria e Senegal). I decessi confermati sono stati 4818. L’epidemia di EVD è stata dichiarata spenta il 17 ottobre 2014 in Senegal e il 19 ottobre 2014 in Nigeria. Attualmente, l’incidenza settimanale di casi è stazionaria in Guinea, in Sierra Leone continua a crescere mentre in Liberia sembra diminuire. In tutti e tre i paesi la trasmissione di EVD rimane persistente e diffusa, particolarmente nelle capitali. I casi e le morti continuano ad essere sotto-riportati.Tra i paesi con trasmissione localizzata, il Mali e gli Stati Uniti continuano a monitorare potenziali contatti. In Spagna, tutti gli 83 contatti del lavoratore sanitario infetto di Madrid hanno completato il periodo di follow-up di 21 giorni.(1)

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In questi giorni l’attenzione dei media sembra essersi spenta: quasi nessuno parla più di Ebola, ma l’emergenza in Ovest Africa è tutt’altro che terminata, come non si stanca di ripetere Gino Strada:
“In Sierra Leone, ogni giorno, 50 persone contraggono il virus Ebola.I medici e gli infermieri di Emergency stanno lavorando senza sosta per garantire cure ai malati nel Centro di Lakka, vicino a Freetown”.

Un interessante (e toccante) servizio con video è uscito su Il Fatto Quotidiano – Servizio pubblico:
“Freetown, capitale della Sierra Leone, è la città più colpita dall’epidemia di Ebola: 50-60 casi al giorno. Pablo Trincia e Francesca Di Stefano hanno passato un po’ di tempo in un centro gestito da Emergency. Quando arriva un bambino di 5 anni con la febbre, devi fermarlo, isolarlo e curarlo. Ma non c’è alcun rischio per l’Italia, spiega il fondatore Gino Strada.(2)

Dal video si capisce quanto siano complicate le procedure da adottare e quanto sia facile non solo infettarsi ma anche dare al pubblico informazioni fuorvianti. In particolare una sequenza: il giornalista, tutto il mio rispetto per lui, io certo che avrei paura – inizia il servizio mostrando la loro macchina a noleggio. Afferma, giustamente, che deve essere disinfettata perché Ebola si trasmette molto facilmente per contatto, poi tira fuori uno spray (presumibilmente a base di cloro, sarebbe stato utile sapere cos’era) lo passa sulla portiera e sul cruscotto e poi pulisce A MANI NUDE… Ora, sicuramente la macchina era già stata sterilizzata in precedenza (mi auguro) e la scena è stata girata per il servizio ma… quale messaggio passa? Pulisci a mani nude una superficie potenzialmente infetta? Più chiaro: passi la mano dove potrebbe esserci un virus che probabilmente si trasmette per via transdermica? Anche con il disinfettante mi pare un pochino rischioso. Almeno un paio di guanti, no? Anche perché poi, poco dopo vediamo un operatore sanitario imparare la complicata e pericolosa procedura per sfilarsi tuta e mascherina. L’effetto è leggermente ridicolo, come quello del famoso video dell’aeroporto di Dallas, con i sanitari simili a palombari e il tizio in maniche corte con la cartellina che conversava con loro neanche fosse al congressino aziendale. (3)

Ovvero: si parla tanto e c’è anche tanta buona volontà ma poi sembra che mandare un messaggio mediatico di informazioni corrette sia estremamente difficile, perché chi non è dentro all’incubo Ebola non riesce a trovare un equilibrio fra panico e allarme, tragedia e inconsapevolezza. E anche – ma questo non è certo il caso del Fatto Quotidiano – fra odio razziale e indifferenza per una tragedia umanitaria che solo per un fatto geografico non è ancora capitata a casa nostra. Alla faccia di chi, come Gino Strada ed Emergency, rischia quotidianamente la vita.
Ho visto, dal filmato, le spalle curve di Gino Strada, la pazienza, l’amore e il coraggio negli occhi degli operatori, lo sguardo indescrivibile del piccolo Christian, sette anni, scioccato da quello che gli è passato addosso e senza la forza di essere felice per la sua guarigione. Ma… c’era proprio bisogno di chiedere notizie della madre? Il giornalista imho sapeva che era morta.
Anche Momoh, cinque anni (probabilmente il bimbo citato nel video) ha sconfitto l’Ebola. Tutto lo staff è andato a salutarlo quando i suoi zii sono andati a prenderlo. (4)

Questo video, che ho visto in integrale qualche giorno dopo, mi ha lasciato ho varie sensazioni contrapposte: l’atteggiamento giornalistico che non sopporto: “Stai male? Hai paura di morire? Quale era il sogno di tuo figlio morto?”. L’ammirazione mista a perplessità per il coraggio di andare a sfiorare la morte dove basta un gesto ravvicinato. Il senso di irrealtà nel vedere il giornalista che afferma: ora ci dobbiamo vestire perchè il posto è pericoloso. E si infila il k-way. Forse piove, chissà.

Lo sconforto nel vedere come vive la gente in quelle baraccopoli, dove forse morire di malattia non è quella grande novità. Manca l’acqua corrente e pulita, manca l’elettricità. Se si muore di sete, non è facile pensare come prima cosa a lavarsi le mani.

(1) http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/137510/1/roadmapsitrep_5Nov14_eng.pdf?ua=1
(2) http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/11/06/servizio-pubblico-ebola-villaggio-di-emergency-a-freetown-cuore-dellepidemia/309445/
(3) http://www.tio.ch/TioTV/estero/cronaca/1000397/-chi-e-questo-uomo–con-una-cartellina-per-proteggersi-dall-ebola
(4) https://www.facebook.com/emergency.ong/photos/a.203629481356.170178.183047736356/10152772573216357/?type=1&theater

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