Armi Nucleari: Dinamica, utilizzo, effetti [2 di 3]

L’esplosione nucleare

Questa parte è riferita al blast di ordigni nucleari ormai datati, tra cui alcuni della Nord Corea, per intendersi.

A) Effetti della deflagrazione di un esplosivo nucleare a quantità standard di massa utilizzata pari a 1 Mt 

Onda termica (35% dell’energia prodotta): dopo 1,8 secondi si forma una palla di fuoco, la cui energia luminosa provoca un lampo di luce tale da provocare cecità temporanea e danni permanenti alla capacità visiva.

La quantità di calore sviluppata porta la temperatura a valori dell’ordine di milioni di gradi Celsius, con conseguenze concentriche: vaporizzazione immediata di ogni cosa nel raggio di 10 km dall’epicentro, ustioni di terzo e quarto grado nel raggio di 10-15 km, di secondo grado nel raggio di 15-20 Km, di primo grado nel raggio di 20-25 Km, sviluppo di incendi nel raggio di 15 Km. Nel caso di un’esplosione in superficie, in corrispondenza dell’epicentro si ha rimozione del suolo e degli altri materiali presenti: si forma quindi un cratere le cui dimensioni variano a seconda dell’altezza alla quale l’ordigno viene fatto esplodere. Significative quantità di radiazioni termiche e nucleari letali vengono continuamente emesse dalla palla di fuoco.

Onda d’urto (50% dell’energia prodotta): dopo 4,6 secondi l’enorme pressione generata dall’esplosione produce, dopo una frazione di secondo, un’onda d’urto (un muro d’aria fortemente compressa) con velocità elevatissima, che a sua volta provoca la distruzione di ogni cosa nel raggio di 1500 metri, danni enormi agli edifici, morte di chiunque si trovi nel raggio di 10 km, a meno che non trovi riparo in appositi rifugi sotterranei. Dopo appena 1,8 secondi dall’esplosione, il fronte dell’onda d’urto ha coperto una distanza di mezzo miglio. Nel caso di una deflagrazione in aria, a questo si associa l’effetto Mach: l’onda d’urto primaria colpisce il suolo, contribuendo alla formazione del cratere, viene riflessa e origina un’onda secondaria. Ad una certa altezza dal suolo le due onde uniscono i propri fronti, formando l’onda di Mach (rinforzata). A 11 secondi dall’esplosione, l’onda di Mach ha percorso 5,1 Km e supera la barriera del suono. La sovrappressione del Mach è di 6 libbre per pollice quadrato e la velocità del vento nucleare immediatamente dopo il fronte d’urto è circa 180 miglia per ora.

Fungo Atomico: l’elevata temperatura provoca la formazione di masse gassose sotto pressione, tali da formare una palla di fuoco che si estende per centinaia di metri attorno all’epicentro dell’esplosione, con emissione di raggi UV, IR, calore e luce visibile. Essa possiede una velocità ascensionale di circa 170 km/ora e trascina con sé i residui della bomba e detriti vari. Si forma così la cosiddetta “nuvola radioattiva”, che raggiunge la sua altezza massima dopo pochi secondi, si stabilizza, e continua a crescere in larghezza, prendendo la caratteristica forma a fungo.

Il suo calore (considerato a prescindere dall’onda termica) verrebbe avvertito a 8 km di distanza; inoltre, gli strati esterni risucchiano aria, provocando un ciclone capace di spazzare via tonnellate di materiale dal terreno sottostante. Questi venti estremamente violenti sono un efficiente mezzo di propagazione per incendi su vasta scala. Il colore della nuvola radioattiva è inizialmente rosso o marrone rossiccio, dovuto alla presenza di vari composti colorati (acido nitrico e ossidi di azoto) sulla superficie. Questi composti sono prodotti di reazione fra azoto, ossigeno e vapore acqueo in aria, che si combinano a causa delle alte temperature e dell’influenza delle radiazioni nucleari. Quando la palla di fuoco si raffredda e subentrano fenomeni di condensazione, il colore vira al bianco, probabilmente perché si formano piccole gocce d’acqua come in una nuvola qualsiasi.

Onda radioattiva (15% dell’energia prodotta): raggi gamma e neutroni. Nel caso di una bomba N, l’irraggiamento supera i 100 km. A questo si associa l’Effetto NIGA (Neutron Induced Gamma Activity): se la sfera primaria, cioè la zona dove avvengono le reazioni nucleari, entra in contatto con il suolo, lo irraggia con neutroni rendendolo fortemente radioattivo.

 

 

 

 

 

 

Effetto EMP (Electro Magnetic Pulse): l’enorme quantità di radiazioni genera un immediato campo elettromagnetico, tale da annullare su vasta scala qualsiasi sistema elettrico o elettronico non schermato.

Effetto Fall-out (due ore circa dopo l’esplosione): la ricaduta in tempi differenti di materiale radioattivo, sollevato in quota dall’esplosione. I detriti aspirati dal fungo atomico vengono a contatto con i prodotti di fissione, e diventano a loro volta radioattivi. Essendo composti da sostanze di natura diversa, ricadono al suolo – sottoforma di polvere e ceneri − con velocità direttamente proporzionale alle rispettive masse. Si parla quindi di fall-out primario con ricaduta veloce e di fall-out secondario con ricaduta che inizia tra le sei e le trenta ore dopo l’esplosione. La pericolosità del fall-out è massima nella fase iniziale e diminuisce poi fino a stabilizzarsi. La distribuzione e la durata del fenomeno dipendono anche dalla potenza dei venti in alta quota.

Le particelle microscopiche possono giungere sino alla troposfera e ricadere poi con le piogge. Se finiscono scagliate nella stratosfera, e quindi sotto l’influenza dei venti stratosferici, possono restarvi per mesi o anni e compiere più rivoluzioni attorno al globo terrestre (fallout globale). Ricadono solo quando trovano correnti discensionali o transitano sopra le zone polari.

I prodotti di ricaduta più comuni (e insidiosi) sono il cesio-137 e lo stronzio-90: si ritrovano anche nel pulviscolo radioattivo del fall-out stratosferico e possono contaminare zone immensamente vaste.

Fallout a Fukushima

 

B – Fenomeni climatici conseguenti: inverno nucleare ed estate nucleare.

Con il termine inverno nucleare si intende la situazione atmosferica, conseguente a un conflitto atomico globale, ipotizzata dall’astrofisico Carl Sagan nel 1982 nella relazione denominata TTAPS. Pubblicata nel dicembre 1983 su Science, questa visione assai apocalittica di un futuro “dopo la Bomba”, è stata, negli anni successivi, aspramente criticata ma anche ripresa in vari lavori scientifici: i più recenti sono datati 2007 (Journal Geophysical Research).

Per fortuna nessuno l’ha mai visto

La causa scatenante della deformazione climatica descritta sarebbe non tanto l’enorme quantità di polveri scagliate nella stratosfera da una esplosione atomica, quanto i  prodotti degli inevitabili incendi globali: la combustione di vaste aree − soprattutto urbane e industriali – porterebbe  infatti alla formazione nella stratosfera di uno strato di fumi neri e ceneri capace di schermare la luce del sole. Ciò provocherebbe una sensibile diminuzione della temperatura terrestre per diversi anni, con conseguenze facilmente immaginabili. È stata infatti ipotizzata una nuova glaciazione, associata a una marcata diminuzione delle precipitazioni atmosferiche (circa il 45%) che interesserebbe tutte le principali aree attualmente impegnate nelle coltivazioni e produzioni a scopo alimentare.

L’estate nucleare consiste invece nel fenomeno opposto, uno scenario assai differente ma comunque catastrofico: dopo l’inverno nucleare, la superficie terrestre sarebbe oggetto di un massivo “effetto serra” provocato dalle radiazioni solari che, una volta arrivate sulla Terra, non sarebbero più in grado di uscirne, a causa delle grandi masse gassose (soprattutto CO2) prodotte dagli incendi globali e dalla decomposizione di materia organica. L’innalzamento della temperatura causerebbe lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento di vapor acqueo nell’atmosfera e, oltrepassato un certo limite, la produzione di metano dai fondali oceanici: tutti elementi che accrescerebbero il surriscaldamento del pianeta. Inoltre, gas come l’ossido di azoto, liberato nella stratosfera dalle esplosioni atomiche, provocherebbero una vasta  estensione del buco dell’Ozono, i cui effetti si andrebbero a sommare ai precedenti.

In questo video, alcuni test e simulazioni, che hanno indubbiamente una loro sinistra bellezza:

Una precisazione: perché il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki ha prodotto “poco” fallout rispetto, al esempio, all’incidente di Chernobyl?

Il fallout dipende dall’altezza cui il materiale nucleare esplode: più vicino al terreno si ha la conflagrazione, più materiale viene risucchiato e irradiato divenendo a sua radioattivo. Quindi la ricaduta è inversamente proporzionale alla distanza dalla superficie terrestre. Litte Boy e Fat Man dovevano causare, nell’intento statunitense, non tanto contaminazione quanto distruzione: se fossero esplosi al suolo, ci sarebbe stata forse “meno” distruzione e molto, molto più fallout. Questo ammesso che gli scienziati sapessero cosa veramente sarebbe successo, visto che l’unico precedente era qualche test.

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