LA STRADA: una recensione di qualche anno fa

La strada

LA STRADA
di Cormac McCarthy

“Chi sono quelle orde incappucciate che sciamano su pianure infinite, inciampando nella terra screpolata?”
[The Waste Land – T.S. Eliot]

“Ce la caveremo, vero, papà?
Sì. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Sì. Perché noi portiamo il fuoco.”
[The Road – Cormac McCarthy]

Un uomo e un bambino senza nome, padre e figlio, lungo una strada dopo la fine del mondo. Intorno, un inverno nucleare livido e in bianco e nero, resti carbonizzati e piogge di cenere, un cielo senza sole e un gelo siderale che arriva fino al cuore. I loro averi sono tutti su un carrello della spesa: del cibo, coperte luride e una tela cerata. Ma il padre porta in tasca una pistola con gli ultimi due colpi, uno per sé e uno per figlio, in caso di necessità. Perché in un mondo dove tutto è bruciato, anche il significato di umanità si è estinto: gli uomini sono divenuti lupi e divorano i loro simili, in una metamorfosi senza ritorno. La terra che i due viaggiatori attraversano è deserta ma non del tutto, l’incontro con i pochi sopravvissuti è privo di qualsiasi sentimento all’infuori di violenza, sospetto e paura. Con loro è anche il ricordo di una donna, la madre del bambino, che ha preferito togliersi la vita davanti al crollo della speranza e l’orrore della sopravvivenza.
La causa dell’olocausto è descritta, semplicemente, in due frasi: Gli orologi si fermarono all’una e diciassette. Una lunga lama di luce e poi una serie di scosse profonde.
A questo punto il futuro cessa di esistere, e il dopo è già qui.
Non sappiamo dove padre e figlio si trovino né da quanto siano sulla strada. Niente “quando” e niente “dove”, solo qualche cartello ormai assurdo nella sua inutilità, una mappa scolorita con nomi che non hanno più valore e testimonianze improvvise di un incubo senza risveglio.
Alla fine di questo lungo cammino c’è solo la promessa di una terra più calda, vicina al mare, dove la parola “domani” può ricominciare ad avere senso. Ma la salvezza non sarà generosa.

“Vi mostrerò la paura in una manciata di polvere”
[The Waste Land – T.S. Eliot]

La Strada (premio Pulitzer 2007) non è un romanzo d’evasione né un road-book che consente di riflettere staccando la spina. Possiede un’epicità omerica miscelata alla crudezza di una cronaca nera surreale, dove i cattivi di Interceptor non hanno Mad Max a combatterli. _E’ una storia sotto shock, capace di comunicarlo al lettore creandogli un estremo disagio. Il tema fantascientifico dell’apocalisse nucleare è solo un pretesto per mostrare l’estrema conseguenza del male: cosa resta quando tutto è finito, quando la vita di un uomo e di suo figlio è legata ai dettagli più crudi dell’auto-conservazione e la morte può arrivare all’improvviso, per gli abiti bagnati, per la casualità di una ferita, per un attimo di disattenzione? L’unica forza è un sentimento atavico, il solo rimasto: l’amore incondizionato e folle per il frutto del proprio seme, incarnato in un bambino biondo e scarno che ancora riesce a provare pietà, senso di colpa e desiderio dei suoi simili. Anche questo anonimo e distrutto pezzo d’America “non è un paese per vecchi”, e l’unico futuro possibile è ancora una volta nei figli: noi siamo l’arco, loro la freccia scagliata verso il domani. In questa ottica, il bambino assume il valore ancestrale di portatore del fuoco: colui che regge l’ultima scintilla capace di rendere uomo l’Uomo a dispetto della sua bestialità, nonostante l’estrema terribile punizione degli dei che non hanno dimenticato Prometeo e il suo atto di ubrys.

“Qui non c’è acqua ma soltanto roccia
Roccia e non acqua e la strada di sabbia”
[The Waste land – T.S. Eliot]

E’ impensabile che McCarthy non abbia letto The Waste Land.
La terre gaste è un archetipo antico, il territorio sterile e mortale della quest per ottenere il Graal, ma la versione che l’autore ci scaraventa addosso va ben oltre il mito arturiano e l’interpretazione in chiave moderna offerta da T.S. Eliot nel suo poemetto. Il protagonista adulto di questo romanzo ha già con sé il Sacro Calice, ma la prova non è finita: il suo compito è quello di proteggerlo, a qualunque costo, contro tutto e tutti. “Siamo ancora noi i buoni?” chiede il bambino dopo aver visto l’uomo uccidere. In un mondo dominato da una natura ormai aliena in cui ogni dio è scomparso, la violenza è inaudita e il ricordo della bellezza possibile solo in sogno, la seduzione del male – la lotta eterna tra luce e tenebre dove il buio è quasi sempre destinato a vincere – viene tenuta lontana solo da una tenerezza disperata tra padre e figlio, che suscita nel lettore un dolore lacerante.

“Questo è mio figlio, disse.
Gli lavo via dai capelli le cervella di un uomo. E’ questo il mio compito.
[cut]
Quando non ti resta nient’altro imbastisci cerimoniali sul nulla e soffiaci sopra.”

“Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine”
[The Waste Land – T.S. Eliot]

Se è vero che “chi usa dieci parole laddove ne bastano cinque è capace di qualsiasi delitto”, Cormac McCarthy non sarà mai incriminato. La sua prosa è scarna, le storie lucide e affilate come rasoi, eppure in questo romanzo viene raggiunto un livello di essenzialità tale da coinvolgere non solo la trama ma anche il linguaggio, il registro narrativo, la punteggiatura: tutto sembra bruciato e finito, esaurito fin nel midollo, compresa la voce narrante che osserva il cammino dell’uomo e del bambino quasi dialogando con se stessa; un flusso di coscienza senza alcuna emozione. Del resto, se il tempo si è fermato e non ha più ragione di andare avanti, se ogni parametro mentale e materiale si è dissolto e le coordinate dell’esistenza sono scomparse, il superfluo svanisce e ciò che riguarda il “prima” non ha più importanza. Il paesaggio si prosciuga nei suoi elementi primordiali: terra, acqua e fuoco. Le priorità sono quelle ataviche: fame, calore, sonno. Gli istinti regrediscono a quelli primari: paura e ferocia. Non solo: i nomi seguono le cose nella loro scomparsa, e quindi la speranza è riposta in nuovi nomi e nuove cose. Questo piccolo spiraglio, l’autore ce lo concede. Dopo predoni e cannibali, vittime e carnefici, orrore e terrore, forse altri “buoni” esistono ancora. E possiamo stare sicuri che se qualche road-vilain dovesse venire con cattive intenzioni, McCarthy impugnerebbe una pistola e gliela scaricherebbe in faccia.

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Una risposta a LA STRADA: una recensione di qualche anno fa

  1. Bruno ha detto:

    Ho visto il film, ed era così cupo che il libro, per il momento, non ce la faccio ad affrontarlo.

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