Ovvero Paranoia e Ebolanoia (9)
Nel 1992 il giornalista Richard Preston scrive un articolo sul The New Yorker intitolato Crisis in the Hot Zone(1): l’argomento riguarda una malattia che flagella periodicamente alcuni villaggi africani della foresta pluviale e che ha il nome di un fiume: Ebola. A causa della sua pericolosità l’agente patogeno è definito “bollente”, come la zona dove si manifesta. Nel mondo occidentale il virus Ebola è conosciuto a malapena tranne per un fatto: nel 1989 si sviluppa un’epidemia, fortunatamente limitata a una colonia di macachi importati dalle Filippine, nella cittadina di Reston (Virginia). Si tratta di una variante Ebola, denominata – in base al luogo del focolaio – Ebola Reston, e si trasmette per via aerea.
Richard Preston è fratello del più famoso Douglas Preston (autore dei romanzi di Jack Reacher e coautore insieme a Lincoln Child della “serie di Relic”). La situazione di Reston evidentemente lo colpisce: un virus lontanissimo, così letale da sembrare uscito da un romanzo apocalittico, compare in America a pochi km da Washington e solo per un caso fortunato contagia solo scimmie.
Il passo successivo di Preston è un’opera intitolata The Hot Zone, pubblicato nel 1995: la forte componente emotiva colloca The Hot Zone a metà fra il saggio e il romanzo, sebbene sia considerato non fiction e riporti testimonianze raccolte dall’autore assieme a esperienze personali in Africa. Pieno di realismo crudo nelle descrizioni, The Hot Zone racconta (drammatizzandole) alcune vicende legate alle moderne epidemie di filovirus: Marburg, Ebola, Reston. Non è chiaro quanto delle testimonianze riportate da Preston sia esatto (molte descrizioni sono quantomeno fantasiose). (8)
Parte delle stesse vicende è affrontata in un altro testo, No Time to Lose, del prestigioso scienziato Peter Piot, più affidabile. A sua “discolpa”, The Hot Zone da’ l’idea di essere stato scritto non per sensazionalismo commerciale bensì per un genuino senso di orrore nei confronti di alcune nuove minacce sbucate fuori in un epoca in cui sembrava non ci fosse più nulla da scoprire sulle malattie infettive.
The Hot Zone ha successo e diventa un best seller: Fox ne acquisisce i diritti per un film con Robert Redford e Jodie Foster, con Lynda Obst e Ridley Scott come produttori, ma il progetto non decolla.
L’attenzione morbosa dei media, intrigati dall’aspetto epidemico – catastrofico che fa presa sul pubblico, non piace molto ad alcuni dei medici e scienziati che la lotta con l’ Ebola l’hanno vissuta in prima persona.(7) Margaretha Isaacson, virologa sudafricana d’eccellenza con una grande esperienza sul campo, afferma durante un’intervista (2):
“Ebola non è un pericolo globale. Si tratta di una virus pericoloso, ma è relativamente raro e abbastanza facilmente contenibile.[…] I media stanno spaventando a morte il mondo e film come Outbreak stanno facendo alle persone un pessimo servizio “.
Il virologo Ed Rybicki, sempre nel 1995, rincara la dose (3), affermando che molte persone vengono inutilmente terrorizzate da una campagna mediatica concordata, progettata per vendere film e libri “luridi”, e consiglia: “Tanto per cambiare, ascoltate quello che vi dicono gli esperti e reagite di conseguenza”.
Il film Outbreak sembra tanto questo:
Parole che andrebbero ripetute e sottolineate anche oggi.
Guarda caso, infatti, nel pieno della nuova epidemia di Ebola che sta flagellando l’Ovest Africa, dopo vent’anni il progetto Obst-Scott torna fuori: sarà prodotta una serie TV dalla Fox e lo stesso Richard Preston ne parla sul New York Time affermando:
“Spero che non ne facciano la solita tragedia Hollywoodiana prevedibile.”(5)
Ridley Scott, che potrebbe potenzialmente dirigere almeno il primo episodio, sarà il produttore esecutivo insieme a Obst, David Zucker e Jim Hart, autore della vecchia sceneggiatura originale: il tutto sarà pronto quando le vicende attuali dell’epidemia saranno incorporate nella trama.(4)
C’è da chiedersi quale sia l’utilità di questi epidemic-drama (era sufficiente l’orrendo The Last Ship): Marketing? Sete di sangue fresco? Strumentazione politica?
In proposito, un recentissimo comunicato di Emergency – tra le altre cose – dice:
“È sbagliato e irresponsabile legare la diffusione di Ebola alle migrazioni via mare, in quanto l’aggressività del virus non renderebbe possibile affrontare viaggi di migliaia di chilometri dalle zone colpite fino alle coste nordafricane e da lì alle nostre coste. È criminale giocare sulle generalizzazioni che sovrappongono Africa, Ebola e migranti, sfruttando un’epidemia per i propri calcoli politici”. (6)
1) http://www.newyorker.com/magazine/1992/10/26/crisis-in-the-hot-zone
2) con Max Gebhardt, Argus correspondent (Weekend Argus, Cape Town, August 12/13 1995)
(3) virology@net.bio.net
(4) http://www.hollywoodreporter.com/news/ebola-tv-series-works-lynda-741457
(5) http://www.nytimes.com/2014/10/20/books/the-hot-zone-author-tracks-ebolas-evolution.html?_r=1
(6) https://www.facebook.com/emergency.ong/posts/10152743621951357?ref=notif¬if_t=notify_me
(7) Making Threats: Biofears and Environmental Anxieties di Betsy Hartmann et al.
(8) http://www.richardpreston.net/guide/hz/download.html
(9) http://www.politico.com/magazine/story/2014/10/how-the-media-stoked-ebola-panic-112095.html#.VEtdriKsXfo